Approfondiamo la Malattia da reflusso gastroesofageo con il professor Carlo Calabrese
GERD, ossia malattia da reflusso gastroesofageo.
Sono molti gli italiani che quotidianamente devono fare i conti con dolore, rigurgiti acidi, bruciore, tosse secca, ossia i principali sintomi di questo disturbo.
Il disagio legato a questi sintomi impatta poi negativamente anche sulla vita di tutti i giorni, portando ad esempio ad auto escludersi da occasioni sociali e a insonnia.
Abbiamo chiesto al Professor Carlo Calabrese, Professore Associato di Gastroenterologia dell'università di Bologna, IBD Unit, di raccontarci la sua esperienza con questo disturbo.
Cristalfarma: Professor Calabrese, grazie per la sua disponibilità. Sappiamo che quello del reflusso è un tema molto sentito tra i pazienti. Nel corso degli anni è aumentato il numero di pazienti che soffrono di reflusso gastroesofageo?
Prof. Calabrese: Sì, dagli anni ‘90 ad oggi sicuramente è triplicato il numero il numero dei pazienti affetti da malattia da reflusso mentre si è ridotto notevolmente il numero dei pazienti affetti da malattia peptica, cioè da malattia gastrica. Questo perché abbiamo eradicato in gran parte la gastrite e l'infezione da Helicobacter Pylori, che era una delle prime cause.
In più penso che comunque sia aumentato numericamente, tanto che le statistiche portano ad una variazione tra il 14 e il 35% della popolazione generale ed è aumentato soprattutto nei paesi industrializzati.
È difficile che troverà una malattia da reflusso gastroesofageo in aree meno sviluppate del pianeta, ne troverà tantissime invece nei nostri paesi ed è anche legata al nostro stile di vita e l'aumento di peso della popolazione.
Cristalfarma: Quali sono i sintomi “nascosti” più comuni per la sua esperienza, che le persone tendono a sottovalutare?
Prof. Calabrese: Sicuramente non sono i sintomi specifici, nel senso che il bruciore, la pirosi, il rigurgito, che sono i sintomi tipici della malattia da reflusso, non sono soltanto tipici in sé, ma sono dei sintomi che portano ad avere una pessima qualità di vita.
Invece si incontrano sempre più spesso quelli che vengono chiamati sintomi extra esofagei.
In assenza di sintomi esofagei puri, come può essere la tosse, la laringite posteriore (che dà una raucedine), la difficoltà a deglutire o il sintomo del nodo in gola, come spesso riferiscono i pazienti, il dolore toracico non cardiaco, delle forme di asma…sono diversi.
Questi però rientrano in un reflusso che va ben diagnosticato e che richiede un trattamento maggiore rispetto alle forme invece tipiche.
Cristalfarma: Nel Mare Magnum delle proposte terapeutiche, ci sono bisogni insoddisfatti del medico e del paziente?
Prof. Calabrese: Noi in realtà oggi non è che trattiamo la malattia da reflusso gastroesofageo ,non abbiamo a disposizione questo tipo di trattamento. Noi oggi trattiamo quello che è l'acido, perché abbiamo dei potenti farmaci che riducono l'acidità, che è tra quei meccanismi lesivi che portano poi dopo alla sintomatologia. In realtà avremmo bisogno di un qualcosa che aumenti le difese della mucosa rispetto a quello che che è l'offesa.
E poiché ne usiamo tanto (non vorrei sbagliare ma dopo l'aspirina gli inibitori di pompa sono i farmaci più utilizzati e più venduti al mondo) avremmo necessità di un qualcosa che aumenti la capacità di difesa del della mucosa esofagea e che quindi sia più fisiologica più fisiologica possibile. In più si va verso una sorta di assuefazione di necessità di aumentare sempre la dose anche se gli inibitori di pompa non hanno un effetto di tolleranza che era tipico dei farmaci precedenti che erano gli anti H2 recettori però spesso si incontra una sorta nel tempo di di di tolleranza verso verso questi farmaci sono sempre meno efficaci quindi c'è sempre necessità di aggiungere qualcosa ma fondamentalmente perché non stiamo curando la malattia no stiamo curando un insulto ma non la malattia.
Cristalfarma: Quanto dura mediamente una terapia per la GERD?
Prof. Calabrese: dipende: se è una malattia da reflusso è di per sé una malattia cronica recidivante e quindi dura per tutta la vita, come l'ipertensione o come il diabete. Può avere dei momenti di riacutizzazione e il goal è cercare quella quantità minima di farmaco sufficiente a tamponare i sintomi finché non saremo in grado di avere qualche farmaco che curi la malattia.
Cristalfarma: Quali sono le cause principali per le quali capita che i pazienti sospendano -o non seguano correttamente- la terapia?
Prof. Calabrese: Succede questo e succede soprattutto tra i giovani.
Succede spesso tra i giovani perché trattandosi di una malattia cronica, la necessità di dover sin dalla giovane età pensare dal dipendere da un farmaco non solo inficia la qualità di vita, ma spesso porta anche ad allontanarsi da tutto questo.
Inoltre, come tutte le condizioni croniche, se non trattate, i nostri nocicettori a un certo punto non trasmettono più. É come l'abitudine a stare al calore, o, se vuole un altro esempio, il piede diabetico.
Un diabetico si ferisce il piede perché non ha più i recettori del dolore, per cui il piede viene leso senza accorgersene. E questo è un dato negativo perché è una sorta di "abitudine" da parte del nostro organismo, che a un certo punto deve difendersi. Riduce quindi quei recettori che, se da una parte sono il sintomo d'allarme e quindi sono indispensabili perché dicono che c'è qualcosa che non va, dall'altra parte, se questo qualcosa che non va è continuo, l'organismo appunto si difende, prova a silenziare sempre più, tanto che poi questi pazienti arrivano con le complicanze della malattia e quindi si è già in uno step successivo più importante, che sono la riduzione di calibro, l'emorragia o lo sviluppo dell'esofago di Barrett, che è una condizione precancerosa.
Cristalfarma: Per la sua esperienza, qual è la formulazione farmaceutica più compliante per il paziente?
Prof. Calabrese: Generalmente lo stick è preferibile, però dipende molto da paziente a paziente.
Dipende poi fondamentalmente anche da quanto noi medici riusciamo ad interagire e a spiegare bene ai pazienti a cosa serve quello che gli stiamo dando e quindi al primo posto c’è l'empatia tra il medico e il paziente.
Cristalfarma: Quali consigli si sente di dare a una persona che soffre di reflusso?
Prof. Calabrese: il concetto fondamentale è quello con cui generalmente discuto con i miei pazienti quando hanno una malattia da reflusso gastroesofageo.
Prima di tutto si mira sempre di più ad avere un trattamento personalizzato perché ognuno di noi risponde in un certo modo, non si può standardizzare nessun tipo di trattamento.
La statistica e la medicina sono le scienze meno esatte, però mettendole insieme si riesce a trattare generalmente sempre meglio i pazienti, chi ho di fronte, perché è questo il vero problema. Sicuramente l'attività fisica, sicuramente la riduzione del peso insistono in un modo importante sul controllo della malattia.
Quindi il primo consiglio che do ai miei pazienti è generalmente quello di una “igiene alimentare”. In generale non ci sono cibi particolarmente nocivi, c'è il buon senso: bisogna assumere un po’ di tutto.
Ma la cosa importante è “un po’”: noi forse abbiamo smesso di essere affamati dal dopoguerra negli ultimi dieci anni, perché fino a dieci anni fa, quando si andava al ristorante, si voleva il volume di quello che si mangiava. Oggi siamo un po’ più cresciuti da questo punto di vista.
E poi c'è da capire fondamentalmente quanto insiste la sintomatologia, tanto che in pazienti molto giovani spesso si può arrivare anche all'indicazione di una chirurgia per correggere quello che è il difetto della malattia, che spesso è legato alla presenza dello scivolamento di un piccolo tratto dello stomaco che crea un'ernia, quella che si chiama “ernia iatale da scivolamento”, che è una delle maggiori cause.
Ecco perché dico che dipende da chi ho di fronte: perché se ho di fronte un cinquantenne farà la sua terapia per tutta la vita, mentre se ho di fronte un diciottenne la sua aspettativa di vita, quello che dicevamo prima, è tale per cui non posso dirgli per 60 anni continuerà a prendere la compressa tutte le mattine.
Quindi va sempre calata su chi c’è di fronte.
Spesso viene sempre portato il concetto dello stress come condizione. Sicuramente lo stress aumenta la produzione la produzione di acido, però non mi sento di dire a tutti “andiamo a vivere in campagna”…insomma sarebbe un bel sogno ma in questo momento non è proponibile e non è molto non corretto darlo ai nostri ai nostri pazienti.